Cristiano Petrucci [Cattedrale]
Gianni Asdrubali [Bestia] Veronica Montanino [Momirabilia]
con un intervento di Santino Drago [quadrato/stellato/ezebrato]
a cura di Giorgio de Finis
Il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, presenta la sua seconda stanza d’artista. Dopo la ludoteca realizzata da Veronica Montanino e Alice Pasquini, inaugurata lo scorso 6 gennaio, è ora la volta di un grande spazio appartenente al corpo centrale della fabbrica dismessa, collocato proprio difronte alla sala che Metropoliz utilizza per le sue apprezzatissime cene meticce. Una stanza senza finestre con un magnifico pavimento bianco e nero e l’andamento e un focus che fanno subito pensare ad una chiesa. In realtà questo nuovo ambiente ospiterà un pub e, data la pressoché totale assenza di luce naturale, una sala per le videoproiezioni.
“Cattedrale” è il titolo che Petrucci ha voluto dare al suo lavoro, un rosone fatto di alieni, collocato in fondo a questa stanza che da subito l’artista ha immaginato come un tempio laico che celebrasse non questa o quella religione ma, da etimologia, la re-ligio, il legame sociale, fondamento di ogni società e collante della stessa, almeno prima dell’avvento della cosiddetta società degli individui che di questo collante crede, a proprio danno, di poter fare a meno.
Accanto all’opera di Petrucci “Bestia”, il muro dipinto da Gianni Asdrubali, frutto di due giorni di furibonda lotta contro il “niente”, condotta senza esclusione di colpi dall’artista a cui si deve la nascita dell’astrattismo povero. Nessuno sa se la battaglia sia conclusa, se la Bestia abbia definitivamente lasciato questo luogo.
Bestia è progetto e risultato insieme.
In questo caso la ‘forma’ non è pensata prima, ma è il risultato casuale e in equilibrio, di un scontro tra l’azione umana e il vuoto. Il vuoto è il motore, l’assenza di punti di riferimento genera la tensione a fare un’azione. Quindi l’azione non è protagonista non dipende dal soggetto, dall’io, ma dalla tensione provocata dal vuoto. Ma se il vuoto è la partenza, il risultato è lo spazio, sostanza germinale che si incarna e origina in questo scontro. Solo che qui lo spazio non è rappresentato ma è fatto da dentro. Fuoriesce da dentro, costruisce ed è la realtà. Una realtà che si da e si nega, che contiene in se affermazione e negazione.
Compatto ma adimensionale, atomico, non euclideo ma curvilineo, quantistico, stringato.. Insomma lo scuro della luce e il chiaro del demonio trovano nella ’bestia’ il punto di contatto. Un centro che si muove perché sta fermo.
Il movimento non s’è mai mosso da lì.
Di fronte ai cinquanta mq realizzato da Asdrubali, ad inglobare i vecchi macchinari arrugginiti del salumificio, “Momirabilia”, l’installazione ambientale che Veronica Montanino ha realizzato riassemblando i mobili d’artista ideati per le scenografie della pièce teatrale e musicale “NO” di Sara Clifford e Denis Baronnet per la regia di Stefano Viali, che l’artista e la produzione hanno voluto, a spettacolo concluso, donare a Metropoliz.
Infine un piccolo contributo di Santino Drago per la porta di ferro dal titolo “quadrato/stellato/ezebrato”.
Nel corso del vernissage la performance di musica elettronica sperimentale di Cristiano Petrucci e Alessandro Altarocca “Breaking Wood”, decostruzione e rigenerazione di stati di coscienza e non-coscienza basata sulla totale improvvisazione e manipolazione di diverse sorgenti sonore in un unico e irripetibile flusso di texture e loop, tesa a connettere chi crea e chi ascolta attraverso l’empatia emotiva dei suoni.
UN FRUTTETO A METROPOLIZ
A cura di Michela Pasquali
In una delle stanze all’aperto del vecchio edificio della fabbrica, proprio accanto alla nuova stanza d’artista “Cattedralehouse”, l’associazione Linaria idea la creazione di un frutteto, utilizzando varietà antiche e pregiate di alberi. Così si è avviato un laboratoro di sperimentazione che prosegue nel tempo con la cura e l’evoluzione dello spazio e delle piante. Come Metropoliz, anche il frutteto sarà uno spazio precario, sempre in evoluzione. Gli alberi non hanno le radici nel suolo, ma sono piantati in grandi contenitori. Si è creato così un giardino versatile, mobile e smontabile, progettato per adattarsi a cambiamenti continui. In questo modo si evidenzia un’analogia e una ricorrenza del fare artistico: la natura precaria come un’installazione, ma, soprattutto, come traccia del dimorare e dell’abitare, dell’aver cura. In collaborazione con il MAAM Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia e Biennale dello Spazio Pubblico.
QUATTRO CARRI INATTESI
di Andrea Lanini
Il 23 maggio, in occasione dei festeggiamenti per l’inaugurazione dei nuovi spazi sociali di Metropoliz, il MAAM presenterà anche il lavoro dell’artista Andrea Lanini dal titolo “Quattro carri”.
Con le parole dell’autore: ”Ancora una volta l’intervento nasce dalla mia vecchia abitudine di creare oggetti poveri e inattesi, da abbandonare in un contesto nel quale finiscono per perdersi. Così anche questi quattro carri sono delle strane apparizioni, ma nell’adeguarsi al luogo, cercano di assecondare il movimento delle cose e delle persone che vivono la condizione di migranti, di occupanti, di abitanti irregolari della città. Macchine che, sia pure faticosamente, possono trasportare oggetti da un luogo a un altro, ma anche congegni solo apparentemente utili che, in quanto oggetti artistici, devono alla fine confessare di non servire a nulla. D’altra parte per ogni oggetto che accolgono, essi immediatamente si trasformano in qualcos’altro e nel trasferire quell’oggetto altrove, ne cambiano il senso e la prospettiva. Come tutte le idee, anche questa è già stata in qualche modo pensata in altri tempi e in altri luoghi e, a forza di cercare, ho trovato un lontano e suggestivo riscontro nella biblica visione di Ezechiele, quando il profeta, in un sopraggiungere di bagliori e di nubi portate dal vento, assiste all’apparizione di un carro le cui ruote sono punteggiate di occhi. Vi sono poi nella sua visione altre immagini sconvolgenti che sono state variamente interpretate, spesso come anticipazioni dell’Apocalisse di San Giovanni. Alcuni ritengono che non si trattasse di un carro con quattro ruote, ma addirittura di quattro carri e anch’essi pieni di misteriose figure e di simboli inquietanti. Ho scelto quest’ultima interpretazione, forse per il fascino del numero quattro, che evoca gli angoli del mondo o forse perché, per realizzare quattro carri, ci vuole più lavoro e il lavoro fa bene al corpo e allo spirito”.
UNA SERATA IN FAMIGLIA
Un’esperimento tentato per la prima volta all’interno della rassegna “Teatro senza scarpe”, con l’obiettivo di raccontare con ironia e semplicità, ad un piccolo pubblico, il percorso di alcuni artisti che si esibiscono da soli in una “stanza”.
“Una Serata in Famiglia” è una partitura per un attore. Un assolo. Si tratta in questo caso, della prima scena di una famosa “english play” scritta da uno dei più importanti autori britannici. Si tratta infatti di un adattamento liberamente tratto dalla play “Kvetch” di Steven Berkoff.
In questo caso infatti i quattro protagonisti della “Serata” saranno interpretati dallo stesso attore seduto su una sedia, in un spazio illuminato solo da due torce tenute dagli spettatoredella prima fila.
Sinopsi: un uomo invita a sorpresa un suo collega di lavoro a cena in un giorno qualunque. A casa la moglie e sua madre preparano da mangiare senza sapere nulla dell’ospite.
Da questa semplice premessa narrativa si scatena un vero e proprio studio tragicomico sugli effetti provocati dall’ansia delle persone, da quell’angoscia che ci tiene svegli. Quante volte ci capita, mentre stiamo parlando, di avere nel cervello un altro dialogo “non detto”, che qualche volta ci guida e qualche volta ci protegge.
Anche se il dialogo che abbiamo “in fondo” alla nostra testa è, a volte, più vero di quello che abbiamo “di fronte”.
Se solo potessimo sempre esprimere i pensieri che stanno “in fondo”, quanto la nostra comunicazione sarebbe più vera. Siamo come degli “iceberg” che lentamente si muovono attraverso la vita, mostrando e rivelando, quando capita, quello che sta sotto.
Ed è proprio questo il senso dell’esperimento, cercare di raccontare nello stesso momento entrambi i dialoghi, quelli detti e quelli pensati dei quattro personaggi.
La normalità o la diversità sono qui, categorie puramente immaginarie, da vecchio archivio, con effetti esilaranti per chi sta a guardare, protetto, nel buio della sala.
Bio
Cristiano Petrucci, nato a Roma nel 1974, inizia ad esporre nel 2005 le proprie opere, nel quale domina il tema della critica alla società e il complesso rapporto che l’individuo intrattiene con essa, come evidenziano la sua personale del 2006, A bocca piena non si parla, presso la Galleria Horti Lamiani Bettivò (Roma), e la collettiva del 2007 HIV presso la Cappella Orsini. Nel 2009 realizza una mostra di pittura in collaborazione con i detenuti di 17 carceri minorili. Il progetto da vita ad un’installazione esposta presso il Palazzo Ruspogliosi di Roma, con il patrocinio del Ministero di Giustizia, del Dipartimento Giustizia Minorile e Direzione Generale dei provvedimenti giudiziari.
Nel frattempo inizia a cimentarsi con la video arte, svolgendo una ricerca volta a rintracciare la metamorfosi dell’uomo e dei suoi simboli, in un contesto archetipico che mette a confronto la natura con l’epoca del digitale. Partecipa a numerose rassegne: nel 2007 alla Venticinquesima dell’Acqua La Chiena, città di Campagna Video Festival, nel 2008 al FestArteFestival, Concorso Internazionale di Video Arte dedicato all’ambiente, e al RO.MI, Arte Contemporanea, A.I.R Artisti Indipendenti riuniti, dove presenta VideoArt-Contaminazioni con le Associazioni: ARTE VERSO ARTE, L’ARTRARTE, SEI A, ACCA, RO.MI. Nello stesso anno ottiene, con il video 160 caratteri, una menzione di merito nell’ambito del concorso Onehop_07 ExtrArt. Nel 2010 il suo video Un litro d’acqua viene selezionato come migliore regia della Capitale alla giornata di proiezioni Giovani Regie, (Museo ARA PACIS Roma), e dal Gemine Muse Roma Dinamismo presso il Museo Canonico di Villa Borghese. Propone anche alcune installazioni sonore, tra cui Code, presentato durante l’evento artistico Adrenalina.
Sempre alla ricerca di nuove tecniche e forme di espressione, sperimenta nuovi materiali artistici e mescola generi culturali, arrivando nel 2009/2010 all’ideazione di QUANTUM BRAIN, gruppo sperimentale che riunisce performance, musica e danza contemporanea.
Nel frattempo da vita all’emoticon, cifra linguistica ricorrente e fortemente caratterizzante del suo linguaggio visivo, in riferimento alle emozioni via etere, rese tridimensionali attraverso palline da ping pong disegnate con le fattezze, appunto, delle emoticon di uso comune in rete.
Nel 2011 propone Emo/tional a Milano presso la galleria Fabrica Eos a cura di Alessandro Trabucco, e a Roma Emozioni connesse alla 999Gallery/ Studio Soligo, a cura di Gianluca Marziani.
Nel 2012 espone presso Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandante un’installazione ambientale site specific dal titolo a cosa stai pensando? opera che, avvalendosi della partecipazione inconsapevole degli utenti, si compone di frasi selezionate dal social network Facebook. Il lavoro indaga il rapporto che intercorre tra un sistema, come forma sociale stereotipata e omologante, e l’emotività del singolo che si staglia al suo interno nell’affermazione di un’intima individualità. Sempre nello stesso anno partecipa all’Attack Festival International di Urban Art presso Palazzo Candiotti di Foligno, e inizia la collaborazione con la galleria Ermanno Tedeschi.
Nel 2013 espone alla collettiva Untouchable curata da Franko B. presso la Mori + Stein Gallery at Flying Dutchman di Londra.
Gianni Asdrubali si afferma nei primi anni 80 come protagonista di una ricerca contrapposta alle regole espressive allora dominanti delle eighties italo-americane e transavanguardiste.Fin dal suo esordio con l’opera “muro magico” del 1979, (presentata poi da Giantomaso Liverani alla galleria la Salita di Roma) decide di giocare l’alternativa e di opporsi al flusso mediatico del self-sevice dei prodotti culturali. Fra tutte le individualità che formano il tessuto attuale del mercato dell’arte, Asdrubali costituisce da solo una generazione. Al di là di tutte le attitudini postmoderne, citazionistiche e neo-concettuali, la sua pittura si è organizzata a partire dal 1980, come rifiuto attivo del trapasso delle avanguardie ed egli ha rigettato lo stato di latenza per stabilirsi in stato di ricerca. In questa ottica rivolta più alla sperimentazione che alla narrazione, Asdrubali trasforma le informazioni in attivo pittorico, riuscendo a definire un’immagine di realtà, generata non dal soggetto, non dall’io, ma dalla tensione provocata dal vuoto, dentro il punto più estremo, L’inizio. Nel susseguirsi degli anni tale ricerca viene a determinarsi sempre di più nell’immagine di uno spazio compatto e adimensionale, generativo e immediato.
Veronica Montanino espone dal 2000 in numerose mostre personali e collettive, partecipando a diversi premi. La sua arte prende forma in pitture acriliche su tele in pvc e plexiglas sagomati in forme organiche, ma anche su oggetti di design, come per il progetto nel quale ha reinventato, attraverso un pattern fittissimo di gocce multicolor, le trasparenze della Kartell. E’ tuttavia nelle installazioni site-specific, realizzate in palazzi storici come quello dei Capitani ad Ascoli Piceno (2006), che l’artista esprime al meglio la propria attitudine ambientale. Nel 2010 realizza un intervento su mobili, soffitto e pareti perimetrali del Collicola Caffè presso il Centro per le Arti Visive – Museo Carandente, entrando a far parte della collezione permanente Collicola On the Wall.Nel 2011 partecipa alla 54° Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia presso il Padiglione Italia all’Arsenale. Nel 2013 realizza per il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia, la “La stanza dei giochi”, intervento permanente per la ludoteca, e per l’ingresso dell’Acquario Romano – Casa dell’Architettura l’opera “La bella stagione”. Con i suoi lavori, Veronica Montanino ricrea mondi prismatici dalle geometrie plastiche, elaborando arcobaleni cromatici che accolgono la crescita embrionale dei ricordi. Di contro scivola nel nero o nel bianco, come seconda pelle, rivestendo altri oggetti con la lava o le ceneri del buio luminoso.
Santino Drago, alias Sandrag, artista chimerico nato dall’unione contro natura del santo e del drago, in quanto mostro non si mostra. Al MAAM ha effettuato alcune incursioni, realizzando uno(?) dei suoi celebri “quadri elettrici”, il progetto per una insegna pubblicitARIA da collocare sulla torre di Metropoliz, e l’opera site specific “Sangue versato in mostra”.
Andrea Lanini. Vive e lavora a Roma dove è nato. Ha partecipato a numerose mostre collettive e realizzato mostre e interventi personali. Fa parte attualmente del progetto “Museo dell’Arte Contemporanea Italiana in Esilio”, curato da Alessandra Meo, Mattia Pellegrini, Davide Ricco e Cesare Pietroiusti, nel cui ambito ha partecipato a “L’inadeguato” di Dora Garcia (Biennale di Venezia 2011), “Giornata di Disorientamento“ (Teatro Valle 2011), al “Congresso dei Disegnatori” (Istituto Svizzero di Cultura 2012) e altre più recenti iniziative. E’ autore di molti interventi urbani senza preavviso e talvolta quasi invisibili, destinati ad un pubblico di passanti distratti.
Stefano Viali, regista, attore, docente
Ha debuttato in teatro come regista e attore nel 1982 con lo spettacolo “Omaggio a Petrolini”. (Selezionato dalla critica fra le novità italiane 81/82)
Come attore ha studiato e collaborato con Paolo Panelli nello spettacolo “Quarant’anni di scenette” con il quale ha condiviso anche esperienze televisive. Nel 1985 è stato uno dei fondatori della “Cooperativa Società per Attori” (Teatro della Cometa – Roma) con la quale ha realizzato ed interpretato numerosi spettacoli. Ha partecipato a diversi Film e produzioni Televisive, in Italia e in Germania come protagonista. Ha collaborato e studiato con alcuni registi francesi e israeliani fra i quali Charles Tordjman, Michael Gurevitch, Daniel Horowitz e ultimamente con Mamadou Dioume, Tapa Sudana, Hassan Kouyaté (della compagnia di Peter Brook) nell’ambito di manifestazioni organizzate per la promozione di drammaturgie straniere in Italia e stages. Nel 2003/4/5 è il protagonista de “La Casa degli Spiriti” di Isabel Allende, regia di Claudia Della Seta e Glenda Sewald. Nel 2006 è uno dei protagonisti de “La tenda Rossa” di Anita Diamant, regia di Claudia Della e Ze’ev Kelaty.