Venerdì 20 maggio a Metropoliz si è svolto un incontro dal titolo “Dentro e contro l’università fabbrica della città: per una nuova (con)ricerca sul diritto all’abitare“. L’incontro è nato dall’ambizione di coinvolgere ricercatori e ricercatrici che, attraverso diversi approcci metodologici, si stanno cimentando con il tema delle occupazioni abitative e del diritto alla città, rifuggendo dalle tre prospettive che di solito dominano il mainstream: approccio vittimizzante; approccio criminalizzante; approccio istituzionale incentrato sul tema della rigenerazione urbana. Ciò che è emerso già in prima battuta è l’eterogeneità dei campi disciplinari da cui le ricercatrici e i ricercatori provengono e nei quali inscrivono il loro lavoro. Scienziati politici, antropologi, urbanisti, filosofi, statistici, sociologi tutti i profili coinvolti mettono al centro delle loro indagini aspetti diversi e collegati allo stesso tempo, facendo emergere l’urgenza, teorica e metodologica di un approccio alla questione che non si riduca a quelli mainstream.
Quale che sia l’angolazione scelta, infatti, ciò che viene regolarmente espunto sono le pratiche di vita e conflitto quotidiane che gli/le occupanti migranti ed italiani/e mettono in atto in tali luoghi, a partire dalla necessità di rispondere ad un bisogno primario, quello della casa; una necessità a cui le istituzioni da decenni non riescono ad offrire alcuna risposta, se non in termini di lucro sulla gestione dell’emergenza, del resto provocata ad arte dall’impennata degli sfratti, dei pignoramenti e dalla carenza strutturale di edilizia popolare. I ricercatori e le ricercatrici intervenut* a Metropoliz hanno invece condiviso progetti di ricerca, prospettive metodologiche e proposte su come articolare un discorso comune sulle occupazioni che rompa l’isolamento accademico in cui spesso vengono relegati approcci non piegati a prospettive mainstream, e sganciati dalla limitazione di risorse che coinvolge le università italiane a seguito delle varie riforme che si sono succedute specialmente nell’ultimo decennio, e che vanno a detrimento in primo luogo dei progetti che portano avanti prospettive critiche e progetti di lungo periodo come quelli etnografici.
Fin dai primi interventi, abbiamo dibattuto il ruolo del ricercatore e della (con)ricerca rispetto a conflitti come quelli portati avanti dai movimenti per il diritto all’abitare, con riferimento all’inevitabilità per il/la ricercatore/ricercatrice stess* di assumere il proprio posizionamento come punto di partenza per un’elaborazione teorica all’altezza della materialità delle pratiche e delle forme di vita messe in campo dai movimenti. Se, quindi, secondo alcun*, i percorsi di ricerca e quelli di militanza/attivismo sono incompatibili, essi sono considerati da tutt* almeno paralleli, poiché producono strumenti reciprocamente utili alla produzione di un sapere critico e politicamente schierato che abbia la funzione di allargare le contraddizioni già latenti. Un esempio per tutti: la crescente insofferenza di molti studiosi nel campo della statistica rispetto all’articolo 5 del Piano Casa, che produce una significativa distorsione negli strumenti di elaborazione anagrafica per l’impossibilità di registrare le persone nei loro indirizzi di residenza.
E proprio l’articolo 5 e la negazione contestuale delle residenze (e quindi dell’accesso ai servizi fondamentali come salute e istruzione) sono esempi emblematici dei dispositivi messi in campo da città ostili contro poveri e migranti, a cui si contrappongono le occupazioni come città meticce dove si riscoprono forme di prossimità, cooperazione e recupero di reddito indiretto. Molti dei progetti di ricerca descritti nel corso dell’incontro hanno inoltre esplicitato un tema spesso presente in controluce nelle pratiche e nei dibattiti tra attivisti e attiviste dei movimenti, ossia il “rischio” che le occupazioni abitative come ipotesi di sottrazione dal meccanismo di cattura nel debito nella forma di affitto e mutui si trasformino in ammortizzatori sociali che suppliscano all’assenza di forme di welfare ed edilizia residenziale pubblica erose da decenni di scelte gestionali della città a favore della costruzione privata, del cemento e ulteriormente colpite dalla crisi economica e dai tagli imposti dalle politiche di bilancio improntate all’austerità. Alla ricerca militante, dunque, il compito di indagare, ed eventualmente approfondire, queste aporie e contraddizioni che, tramite un’analisi minuta e onesta delle forme di autorganizzazione, sappiano analizzare le logiche sottese alle politiche di welfare, il loro rapporto con il mercato e forme “dipendenti” di riproduzione sociale, oltre che il modo in cui la logica mercantile del capitalismo abbia imposto la creazione non solo di nuove forme di organizzazione politica, soggettività e discorsi comprensibili per questa nuova composizione, ma vere e proprie forme di vita alternative all’interno di ambienti urbani sempre più frammentati e conflittuali.
Per quanto l’ostilità delle città renda necessarie delle forme anche conflittuali di riappropriazione collettiva degli spazi, queste stesse forme rendono possibili modalità “meticce” e sperimentali di vita quotidiana, nelle occupazioni abitative, nella costruzione di socialità, nel lavoro quotidiano nei quartieri, che diventano punti di riferimento per i territori dove si trovano. Tutti questi elementi, come sottolineato dagli attivisti e dalle attiviste presenti al dibattito, conferiscono ai movimenti per il diritto all’abitare uno spessore che spesso hanno a propria insaputa, e che i ricercatori e le ricercatrici presenti al dibattito mirano a coagulare collettivamente a partire da alcuni elementi comuni.
Da questo vivace incontro tutti e tutte i/le partecipanti hanno espresso la volontà di dare seguito a questo spazio di discussione, anche coinvolgendo altri ricercatori e ricercatrici impegnati nello stesso ambito, oltre che coinvolgendo gli abitanti e i/le attivisti presenti nelle occupazioni abitative, con cui costruire un vero percorso di con-ricerca e una nuova comprensione reciproca del proprio agire. Sono inoltre emerse proposte di lavoro, tra cui l’idea di scrivere un testo collettivo che dia voce alla polifonia di approcci e progetti discussi, per andare oltre la lettura mainstream delle occupazioni come spazi illegittimi o meri contenitori di marginalità urbana.
Questo report, pertanto costituisce anche l’invito per un nuovo appuntamento, il 9 luglio a partire dalle ore 11 a Metropoliz (via Prenestina 913), in cui ritrovarci per lavorare collettivamente e trovare un terreno comune “dentro e contro l’università fabbrica della città”, e per immaginare nuovi percorsi autonomi di (con)ricerca sul diritto all’abitare.