26 OTTOBRE: METROPOLI E RIVOLUZIONE. PRATICHE INDIPENDENTI DI CONFLITTO A CONFRONTO

C’un’ipotesi di lavoro nella quale siamo impegnati che vogliamo sottoporre al confronto e alla discussione politica. Ripensare l’idea della rivoluzione nelle condizioni attuali, concepire un processo rivoluzionario dentro l’ambiente metropolitano. È la metropoli il contesto dove può prodursi il cambiamento semplicemente perché ormai la maggioranza della popolazione vive negli agglomerati urbani e perché la crisi esplode a livello locale e mondiale proprio attorno ai processi di urbanizzazione.

Nel corso degli ultimi due secoli, la valorizzazione dello spazio urbano è stata una strategia fondamentale per l’accumulazione di capitale, mentre i diritti di proprietà hanno concesso alle imprese capitaliste un controllo quasi totale nella produzione di spazio urbano per ottenere una massimizzazione del suo specifico valore di scambio: suoli e funzioni vengono utilizzati, pensati e “programmati” per la rendita, in un clima di crescente deresponsabilizzazione nei confronti di chi ci vive e del suo ambiente.

Le città o le più attuali aree metropolitane sono i luoghi dove si produce, si scambia, si vive e si governa. Sono i luoghi del conflitto e del disciplinamento sociale, il terreno sul quale tutti i giorni si giocano le mille partite del conflitto e delle resistenze sociali, dove si sviluppano le complicità necessarie nella sopravvivenza come  nella rivolta.

Rimettere in circolazione l’idea della rivoluzione non vuole essere una semplice provocazione ma uno stimolo a ripensare il ruolo dei movimenti e delle diverse forme di organizzazione delle lotte sociali. La rivoluzione è un processo che prevede la partecipazione di un arcipelago di strati sociali diversi, ognuno con le sue peculiari forme di organizzazione e di lotta. Pensare la rivoluzione significa innanzitutto percepire la necessità del rapporto tra settori sociali che hanno caratteristiche profondamente differenti, che vivono condizioni diverse e che solo in determinate condizioni arrivano a fare blocco, a saldarsi in una relazione stabile.

Ragionare di rivoluzione urbana significa provare a ricollocare l’agire sindacale, dei movimenti sociali, delle realtà territoriali dentro un orizzonte politico e teorico di cambiamento strutturale. E ripensare le forme tradizionali dell’agire sociale dentro le nuove condizioni di un presente dove la precarietà di vita è diffusa e devastante.

Forzare l’orizzonte limitato che abbiamo di fronte è una condizione di sopravvivenza nell’Europa della dittatura delle banche e nell’Italia del disgusto verso la classe politica. Rompere i diktat che provengono direttamente da Bruxelles e che arrivano a cascata nelle nostre vite,  dai tagli ai posti di lavoro, alle privatizzazioni dei servizi e dei beni comuni non è possibile se non si mette in campo un’ipotesi alternativa radicale. È lo stesso problema maledettamente concreto che si sono trovate di fronte le rivolte arabe o con le quali sono alle prese i movimenti di mezza Europa e degli Stati Uniti.

È proprio da questi movimenti che provengono tre segnali importanti: la rottura con le forme tradizionali della politica, l’attitudine a mettere insieme rivendicazioni differenti e strati sociali distinti e la capacità di esprimere un’alternativa radicale. A tutto questo si aggiunge il fatto che queste rivolte si esprimono sempre dentro contesti metropolitani. È pertanto la stessa dinamica dei movimenti reali a spingerci a ripensare l’idea della rivoluzione. Di che rivoluzione stiamo parlando? Quali settori sociali ne sono potenzialmente interessati? Quali sono i terreni di azione da privilegiare per imprimere una spinta in avanti a questi processi? Verso quali forme di organizzazione dobbiamo muoverci?

Di questo vogliamo parlare e confrontarci in un incontro aperto con Toni Negri, Gigi Roggero, Askatasuna, Pierpaolo Leonardi, Il Cantiere, Nunzio D’Erme

Blocchi Precari Metropolitani

Questa voce è stata pubblicata in General e contrassegnata con , , , . Contrassegna il permalink.