L’antropologo Marc Augé al Maam (audio dell’incontro)

marc-augeLo scorso 10 dicembre il  MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia) – in collaborazione con “Più libri più liberi” (Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria) – ha ospitato l’incontro con l’antropologo francese Marc Augé.

Nel corso del dibattito con Giorgio de Finis, Marino Sinibaldi, Luca Bergamo e Gigi Riva intorno al tema “Io è un Altro” e il suo reciproco, Augé ha definito il MAAM un Super-luogo perché è una comunità attiva dove si stanno creando legami tra persone diverse, che protegge i rifugiati, i poveri, gli esclusi.

 

  • Il comunicato di Più libri, più liberi

L’antropologo Marc Augé al MAAM: il comunicato di Più libri più liberi

“L’arte protegge i rifugiati”: così l’antropologo Marc Augé, nell’incontro al MAAM con Giorgio de Finis e Marino Sinibaldi, con la partecipazione di Luca Bergamo e Gigi Riva Roma, 10 dicembre 2016. Questa mattina alle 11 al MAAM – Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia si è svolto un incontro speciale di Più libri più liberi, un fuori fiera focalizzato sulle periferie, sul rapporto con l’altro, sulla difesa dei diritti civili. “Io è un Altro” e il suo reciproco, questo il titolo dell’appuntamento, che ha visto la partecipazione di Marc Augé, Giorgio de Finis e Marino Sinibaldi, insieme a Luca Bergamo, assessore alla Crescita Culturale del Comune di Roma e a Gigi Riva, giornalista de L’Espresso. “In questo luogo, che non ha paragoni che io conosca, l’arte protegge i rifugiati” ha commentato l’antropologo Marc Augé, che riconosce agli artisti un carattere vivificante, una istanza rivoluzionaria e democratica, la capacità di evocare, contro l’apparente immutabilità delle cose, uno stato nascente, di donare “a tutti e a ciascuno l’occasione di vivere un nuovo inizio”. Il teorico dei non-luoghi è arrivato a definire un “super-luogo” questo spazio dove si incontrano le persone con la cultura e dove si è creata una vera comunità. E sul rapporto Io-Altro, Augé ha spiegato: “è perché ogni individuo è consapevole della presenza in lui di una dimensione generica che può sentirsi vicino a qualsiasi altro essere umano. Tuttavia, la consapevolezza che, secondo le parole di Rimbaud, ‘Io è un Altro’, non conduce necessariamente alla proposizione inversa e reciproca: ‘l’Altro è un Io’”. Nessun posto meglio del Maam avrebbe potuto ospitare e ispirare questo tipo di riflessioni: nato dall’occupazione dei movimenti per il diritto all’abitare e altre realtà sociali, oltre a esporre le opere di artisti contemporanei, il museo offre attualmente un tetto a 200 persone e famiglie in emergenza sociale, che sulla loro pelle sperimentano ogni giorno che cosa vuol dire vivere senza diritti. “Userò tutti gli strumenti di legge a disposizione per preservare questo luogo”, ha commentato l’assessore Luca Bergamo, “è un museo vivente diventato ormai parte strutturante della vita sociale delle persone: è il primo museo che vedo, e ne ho visti diversi al mondo, in cui le persone vivono nel museo. È un modello su cui bisogna ripensare i musei, per farli essere parte attiva di un cambiamento culturale. Il mio impegno è portare questa esperienza, questo approccio nei musei e negli spazi culturali di Roma”. La giornata per questo incontro è stata scelta con cura: il 10 dicembre di sessantotto anni fa, fu ratificata, a Parigi, la Dichiarazione universale dei diritti umani. Attualmente molti degli articoli di questo codice etico internazionale risultano di fatto inapplicati, anche sull’onda dell’aumento progressivo e incessante della diseguaglianza che caratterizza il modello di sviluppo perseguito dalla globalizzazione, con un 1% della popolazione mondiale che possiede il 46% delle risorse disponibili e un 50% della popolazione mondiale che non possiede nulla.

http://www.plpl.it/comunicati-stampa/lantropologo-marc-auge-al-maam/

  • Roma, ‘Più libri, più liberi’ di scena al Maam. Bergamo: “Farò di tutto per preservare questo luogo” (Repubblica)

http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/12/10/foto/roma_maam_il_museo_dell_altrove-153840601/

  • L’evento del MAAM
    “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”Il 10 dicembre di sessantotto anni fa, fu ratificata, a Parigi, la Dichiarazione universale dei diritti umani. Attualmente molti degli articoli di questo codice etico internazionale, redatto dopo le carneficine del secondo conflitto mondiale, l’Olocausto nazista e le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, sono di fatto inapplicati. E non solo dagli Stati che, pur dentro la compagine delle Nazioni Unite, non vi si potevano conformare – perché caratterizzati, ieri e oggi, da regimi totalitari – ma anche da coloro che l’hanno voluta e sottoscritta. La Francia, patria della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, i cui princìpi sono alla base della carta redatta nel secondo dopoguerra, ha sospeso l’applicazione della Cedu dichiarando lo stato di emergenza in risposta agli attacchi jihadisti subiti, per un tragico scherzo del destino proprio a Parigi e a Nizza, dove fu firmata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.Non ci soffermeremo sulla questione di come possano essere “sospesi” i diritti universali dell’uomo, tra cui quelli a un equo processo o alla libertà di espressione, senza automaticamente negare l’umano e uscire dallo stato di diritto.
    Ma l’attacco massiccio nei confronti dei diritti umani non è solo una questione inerente la “sicurezza” e le leggi speciali in tempo di “guerra” (il diritto a proteggersi, da un male, quello del terrorismo, che molti autori considerano peraltro una malattia autoimmune, basterebbe a consentire uccisioni, torture, carcerazioni preventive e altre barbarie?). Ha a che vedere soprattutto con l’aumento progressivo e incessante della diseguaglianza che caratterizza il modello (unico) di sviluppo perseguito dalla globalizzazione, con un 1% della popolazione mondiale che possiede il 46% delle risorse disponibili e un 50% della popolazione mondiale che non possiede nulla. Due miliardi di persone, appartenenti a questo 50%, ci ricorda Alain Badiou in un libro appena tradotto per i tipi Einaudi1, “non dovrebbero esistere”, perché non sono, e non possono diventarlo, né produttori né consumatori: “…passare da quelli che dovrebbero non esistere alle pratiche mirate alla loro inesistenza, il passo è breve”. Sono le “vite di scarto” di cui parla Bauman. Umanità in esubero, esistenze da rottamare. Un modo per negare questa fetta di umanità è proprio non riconoscerle i diritti. Basti pensare agli accordi di Dublino, che vietano a profughi e migranti quella libertà di movimento che nessuno si sognerebbe di negare ad altre categorie umane meglio equipaggiate economicamente (studenti stranieri, uomini d’affari, turisti) costringendoli a restare nel primo paese di arrivo, quale che fosse la destinazione desiderata.
    Il passo dopo è lo “sterminio”. È improprio chiamare così la mattanza che si svolge nelle acque del Mediterraneo, con i cadaveri che si arenano sul bagnasciuga a pochi metri dai villeggianti che prendono il sole? O quello delle popolazioni africane decimate dall’Aids e dalle epidemie (che non si arrestano perché le multinazionali dei farmaci non sono disposte a rinunciare a una quota dei profitti, permettendo le cure anche a chi non è in condizione di pagarle)? O ancora le vittime ignorate delle mille guerre “minori” che si combattono con il fine di “zonizzare” interi territori e permetterne il saccheggio…Interrogarsi oggi sui diritti dell’uomo non è, dunque, un esercizio storiografico, vista la portata delle diseguaglianze cui assistiamo. “A un certo grado di diseguaglianza, parlare di democrazia o di norma democratica non ha più alcun senso”, conclude Badieu nel volume citato.
    Mi chiedo, e chiedo a Marc Augé, se c’è una soglia relativa alla disuguaglianza oltre la quale parlare di “genere umano” diventa impossibile. Dato lo stato delle cose, delle due l’una, o si aboliscono i diritti dell’uomo o si espelle dall’umanità una parte (sempre crescente) della popolazione mondiale. I diritti saranno appannaggio solo dei cittadini facoltosi (gli unici “cittadini”, appunto).Scrive a proposito l’antropologo francese: “è perché ogni individuo è consapevole della presenza in lui di una dimensione generica che può sentirsi vicino a qualsiasi altro essere umano”2. Ma, ricorda Augé, “la consapevolezza che, secondo le parole di Rimbaud, ‘Io è un Altro’, non conduce necessariamente alla proposizione inversa e reciproca: ‘l’Altro è un Io’”!
    L’Altro che non vogliamo riconoscere come un Io non è più lo straniero (il portatore di valori, usi e costumi differenti, sempre difeso, in nome della relatività delle culture, dall’antropologo), ma il povero. È lui il bersaglio della xenofobia e del razzismo della nostra epoca. L’alterità culturale ci appartiene (viaggi, cucine etniche, world music…), la povertà ci terrorizza, perché essa ci ricorda, come uno specchio nel quale non si vuole guardare, che basta poco per trovarsi dall’altra parte.

    Credo che non ci sia luogo migliore di Metropoliz, l’occupazione abitativa che ospita il MAAM, per affrontare questioni come queste. Perché a Metropoliz non sono questioni “astratte”. In questo strano museo di risulta, come è stato definito, vivono uomini, donne e bambini che sulla loro pelle sperimentano ogni giorno che cosa vuol dire vivere senza diritti. Sono loro, gli uomini, le donne e i bambini di Metropoliz e delle altre occupazioni romane e italiane, i destinatari dell’art. 5 del Piano Casa, il decreto legge Renzi-Lupi n. 47 del 28 marzo 2014 che ha stabilito che chi vive in uno spazio occupato (vale a dire chi non può pagare un affitto o comperare una casa) non ha diritto alla residenza, e senza la residenza non si possono rinnovare i documenti, iscrivere i figli a scuola, votare, avere un’assistenza medica, chiedere e ottenere la cittadinanza italiana se si è stranieri. E ci sono i militanti del movimento di lotta per il diritto all’abitare, vero obiettivo “politico” della legge, perseguitati e sottoposti a misure restrittive perché hanno deciso di ribellarsi al “destino” che è stato loro assegnato. E poi ci sono gli artisti, che da quattro anni proteggono la “città meticcia” insediatasi al 913 di via Prenestina, sottoscrivendo con le loro opere il diritto all’abitare, alla salute, al lavoro… ma anche quello alla bellezza, allo studio e alla cultura per tutt*.
    Agli artisti Augé riconosce un carattere vivificante, una istanza rivoluzionaria e democratica, la capacità di evocare, contro l’apparente immutabilità delle cose, uno stato nascente, di donare “a tutti e a ciascuno l’occasione di vivere un inizio”4, snidando, proprio come l’antropologo, “il culturale e l’artificiale sotto la maschera della natura”. Il mondo come lo conosciamo forse può essere rovesciato, ad arte5! [gdf]

    1 Cfr. A. Badiou, Il nostro male viene da lontano, Einaudi, Torino, 2016.
    2 Cfr. M. Augé, L’antropologo e il mondo globale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
    3 Vedi quanto scritto dagli avvocati Bartolo Mancuso e Carlo Guglielmi, L’art 5 del piano casa di Renzi e Lupi e il diritto di esistere,
    4 Cfr. M. Augé, Op.cit., Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
    5 Cfr. G. de Finis, F. Benincasa, A. Facchi (a cura di), Exploit. Come rovesciare il mondo ad arte. D-istruzioni per l’uso, Bordeaux edizioni, Roma, 2015.

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